lunedì 15 settembre 2008

Ansia di Tratto ed Ansia di Stato


L'ansia non si manifesta come un fenomeno unitario, ovvero è possibile rilevare due diverse tipologie di ansia:

Ansia di tratto:

Questa tipologia di ansia si caratterizza come un elemento relativamente stabile della personalità.
Il cosiddetto “tratto ansioso” è una caratteristica della personalità di alcuni soggetti i quali tendono ad avere il sistema di difesa dell’ansia particolarmente marcato, tanto da vivere la maggior parte delle esperienze in modo preoccupato, agitato, inquieto, ansioso, appunto. In pratica lo stile percettivo di tipo ansioso della persona si estende a tutti gli ambiti della sua esperienza di vita, diventando a tutti gli effetti una caratteristica di personalità.
Coloro che mostrano un tratto di ansia più sviluppato manifestano una reattività maggiore ad un grande numero di stimoli; insomma reagiscono con preoccupazione anche in quelle situazioni che non rappresentano una fonte di minaccia per la maggior parte degli individui. Queste persone hanno una probabilità maggiore di presentare ansia di stato in circostanze a basso potenziale ansiogeno, come per esempio le normali attività quotidiane, o di sperimentare livelli più elevati di ansia di stato in presenza di stimoli ansiogeni.

Ansia di stato:

L'ansia di stato si manifesta come una interruzione del continuum emozionale, cioè provoca una rottura nell'equilibrio emotivo della persona; si esprime per mezzo di una sensazione soggettiva di tensione, preoccupazione, inquietudine, nervosismo, reattività. Risulta associata ad una attivazione del sistema nervoso autonomo, il quale provoca una serie di attivazioni fisiologiche. Elevati livelli di ansia di stato risultano particolarmente spiacevoli, disturbanti e addirittura dolorosi, al punto di indurre la persona a mettere in atto dei meccanismi comportamentali di adattamento finalizzati a porre fine a queste sensazioni. Tuttavia questi meccanismi possono non raggiungere lo scopo, lasciando spazio ad altri comportamenti, questa volta di tipo mal adattivo (evitamento, dipendenza…), che portano all'effetto opposto, ovvero all'aumento ulteriore dell'ansia, avviando una circolo vizioso di tipo patologico.

Avvio di un Intervento


Prima Accoglienza
Il primo incontro informativo è uno spazio che dedico all'ascolto delle problematiche personali e allo scambio di informazioni utili sui tipi e sulle modalità di intervento che posso offrire. Spesso è anche l'occasione per dissipare i pregiudizi e paure irrazionali associate comunemente allo svolgimento di percorso psicologico.
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Esplorazione del Problema e della Domanda
Quando il cliente decide di intraprendere un percorso psicologico, inizio con il dedicare i primi 4-5 incontri all'esplorazione della situazione problematica presentata e della richiesta che mi viene fatta. Gli incontri sono caratterizzati da un'intervista piuttosto dettagliata sulla storia di vita e sulle diverse aree di funzionamento del cliente al fine di individuare obiettivi costruttivi e realistici. Questi primi incontri sono inoltre utili per valutare la presenza della motivazione e della compatibilità necessarie alla collaborazione.
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Consulenza o psicoterapia?
Propongo una consulenza quando il problema presentato rimane circoscritto ad un'area specifica di funzionamento e all'esigenza di una migliore comprensione e gestione pratica dello stesso. Propongo una psicoterapia quando invece il disagio della persona, pervasivo e clinicamente significativo, è fondato sulla disfunzionalità di modalità intrapsichiche e interpersonali strutturate e complesse .

Modalità e tempi
La consulenza, in quanto processo di definizione della situazione problematica e di esplorazione delle risorse ed opzioni per gestirla, si articola in un ciclo incontri, generalmente a breve termine (6-10 mesi).
La psicoterapia, in quanto processo di cura, recupero, maturazione della struttura globale e profonda della personalità, prevede invece un percorso più a lungo termine (a partire dai 6-12 mesi).

Il raggiungimento degli obiettivi rimane, in ogni caso, il parametro principale a partire dal quale si valuta e si concorda insieme l’interruzione degli incontri. Esso dipende in gran parte dalla collaborazione e dall’impegno attivo del paziente, anche al di fuori della seduta psicologica.
Eventuali difficoltà relative al lavoro o alla relazione, spesso proiezione delle proprie modalità disfunzionali di trattare se stesso, l’altro e la vita, divengono invece importante oggetto del lavoro in seduta.
In ogni caso ci si accorda su una seduta di conclusione del lavoro svolto, degli obiettivi raggiunti ed eventualmente, degli aspetti o delle aree di lavoro ancora inesplorate.

Verrà stabilito, secondo le reciproche esigenze, uno spazio settimanale fisso (o due, se necessario). La seduta settimanale avrà una durata di 50 minuti.
Verrà concordato l’impegno ad essere presente e puntuale da parte di entrambi. Solo in caso di eccezioni ed urgenze è possibile chiedere il recupero della seduta in altro giorno, nella settimana corrente o successiva. Nel rispetto dell’impegno preso, le sedute disdette all’ultimo momento o saltate senza avvertimento sono soggette a pagamento.

Verrà firmato un modulo di consenso al trattamento dei dati e di accordo sui suddetti termini della collaborazione.
Quanto emerge in seduta è protetto dal segreto professionale.

Breve panoramica dei disturbi d'ansia



Singolo Attacco di panico: periodo definito di intensa paura caratterizzato da almeno 4 sintomi che raggiungono il picco di intensità nel giro di 10minuti: tachicardia, sudorazione, tremori, sensazione di soffocamento, dolore al petto, nausea, sensazione di sbandamento, sensazione di irrealtà, paura di perdere il controllo o impazzire, paura di morire, parestesie (sensazioni di torpore e formicolio), brividi o vampate di calore.

Disturbo di Panico con o senza agorafobia: attacchi di panico inaspettati e ricorrenti accompagnati da almeno un periodo di 1 mese in cui si verificano 1 o più dei seguenti sintomi: preoccupazione di avere altri attacchi di panico, paura delle conseguenze (perdere il controllo, avere un attacco cardiaco, impazzire, morire..). Presenza o meno di agorafobia*.

*Agorafobia senza panico: sensazione di disagio provata quando ci si trova in ambienti non familiari (uscire di casa, entrare nei negozi, stare in fila, stare nei luoghi pubblici, sui mezzi di trasporto pubblico o in automobile) e si teme di non trovare una via di fuga immediata verso un luogo sicuro o l’aiuto disponibile nel caso ci si sentisse male o si avvertisse un sintomo imbarazzante ed incapacitante. Tali situazioni vengono evitate o vissute con disagio.

Fobia sociale: paura marcata di situazioni sociali o prestazionali in cui si è esposti al giudizio altrui, paura di agire in modo umiliante o imbarazzante. L’esposizione procura ansia e panico. Le situazioni vengono evitate o sopportate con estremo disagio.

Fobie specifiche: paura forte e persistente di un oggetto, un’attività o di una situazione per cui si tende all’evitamento della stessa. Sia la presenza che l'anticipazione dell'oggetto della fobia suscitano un profondo disagio (ansia, panico) nella persona colpita, che di solito riconosce come eccessiva la propria reazione.

Disturbo Post-traumatico da stress e acuto da stress: risposta dell’individuo, a breve e lungo termine, ad un evento critico abnorme (terremoti, incendi, nubifragi, incidenti stradali, abusi, atti di violenza, azioni belliche, etc.) caratterizzata principalmente da: flashback intrusivi del trauma, stato di coscienza simile allo stordimento ed alla confusione, tendenza ad evitare tutto ciò che ricordi l'esperienza traumatica, incubi sull’esperienza traumatica, insonnia, irritabilità, ansia, aggressività e tensione generalizzate.

Ansia generalizzata: preoccupazione eccessiva per la maggior parte dei giorni e per una moltitudine di eventi che dura almeno 6 mesi, difficoltà a controllare la preoccupazione, irrequietezza, affaticabilità, difficoltà a concentrarsi, irritabilità, tensione muscolare, alterazioni del sonno.

Disturbo ossessivo compulsivo: presenza di ossessioni (pensieri, immagini o impulsi ricorrenti, persistenti e vissuti come incontrollabili) e compulsioni (comportamenti o azioni mentali ripetitive che l'individuo si sente obbligato a eseguire, come una sorta di rituale, per difendersi da una certa ossessione o dall’ansia). Le compulsioni possono riguardare diverse tematiche come la contaminazione, l'ordine, il controllo.

La Trappola mentale (dell'ansia)

Alcuni processi psicologici che la persona mette in atto per controllare e gestire l’ansia non fanno altro che rinforzare la paura e la convinzione di essere inadeguati

1. La nostra mente scambia il dispositivo sano dell’ansia e le alterazioni fisiologiche ad essa associate per qualcosa di pericoloso e incontrollabile. Dopo i primi attacchi di ansia e di panico, non sono nemmeno più necessari stimoli esterni per innescare la catena di reazioni psicofisiologiche. A volte basta solo un’immagine mentale di una situazione o un ricordo per scatenare pensieri catastrofici, emozioni negative e ansiose ed infine, comportamenti di evitamento. La persona tende spesso a diventare ipersensibile alle sensazioni fisiche e alle emozioni. Invece di usarle in modo sano come segnali per agire, se ne spaventa, li interpreta tutti come pericolosi, invece di agire in modo costruttivo per risolvere il bisogno di fondo, cerca di cancellarli, ridurli, sedarli.

2. Vivendo le proprie reazioni fisiologiche come pericolose, la persona cerca di controllarle. Rivolge continuamente la propria attenzione all’ascolto del corpo e dei parametri fisiologici e tenta di modularli. Ma poichè esse sono funzioni spontanee e automatiche, lo stesso tentativo di controllarle produce la loro alterazione. E’ proprio il tentativo di controllo che fa perdere il controllo. L’alterazione delle funzioni, autodeterminata, genera pensieri catastrofici, i pensieri alimentano paura ed ansia e la persona inizia a bloccarsi e ad evitare situazioni.

A controprova di questo si verifica che:
a. se durante l’episodio di ansia e panico, accade qualcosa che distoglie l’attenzione della persona dai sintomi fisici e dai pensieri negativi, l’attacco di ansia e di panico si disinnesca.
b. se la persona prova volontariamente ad amplificare ed esasperare le sue sensazioni, invece di tentare di ridurle, l’attacco di ansia si disinnesca.


3.La persona tende ad evitare le situazioni associate agli attacchi di ansia. L’apparente sollievo iniziale ha però un prezzo altissimo. Rinforza l’idea che la situazione sia pericolosa e rinforza la convinzione della persona di essere inadeguata ad affrontarla. La strategia dell’evitamento (sana quando il pericolo per la vita è reale) tende ad irrigidirsi, a diventare un atteggiamento abituale e sistematico. Questa modalità alimenta la sfiducia in se stessi e porta ad una sempre più generale inazione. Spesso le situazioni temute si moltiplicano, la stima di sé scende vertiginosamente, la limitazione della libertà individuale si amplifica.

A controprova di questo si verifica invece che l’esposizione graduale alle situazioni temute accompagnata dall’uso di nuove risorse (nuove modalità di pensare, sentire e agire) sia il metodo principale per consentire alla persona di rinforzare autostima e senso di adeguatezza e, di conseguenza, ridurre il proprio stato di allarme, se inappropriato o patologico.

4.La persona struttura relazioni fondate sul fatto che l’altro, conoscendone i limiti, si ponga nei suoi confronti, in maniera protettiva, complice o sostitutiva. Il soggetto in questo modo evita ancora una volta il confronto con i suoi limiti e conferma il suo senso di inadeguatezza. Con il tempo le richieste di aiuto aumenteranno e aumenterà il timore di affrontare da soli le situazioni.

A controprova di questo, l’affrontare con le propri risorse situazioni lasciate alla gestione altrui, rinforza autostima, autonomia e sicurezza.

L'ansia patologica


È ansia patologica il sentirci pronti a reagire anche quando non avremmo motivo o bisogno di essere reattivi, quando siamo pronti a scattare e nulla ci allarma, quando proviamo una serie di segni fisici o psicologici anche se potremmo sentirci tranquilli e rilassati. E quando tutto ciò agisce dolorosamente sia su di noi che su quelli che a noi stanno vicini.
Può accadere che non siamo capaci di superare del tutto una situazione di pericolo, oppure che allo stato d'allarme e attivazione non corrisponda un pericolo reale da fronteggiare e risolvere; in tal caso l'ansia si trasforma da risposta del tutto naturale e adattiva a sproporzionata o irrealistica preoccupazione ed assume una connotazione di disturbo psichico, perdendo la funzione di elemento di crescita e maturazione, divenendo piuttosto un elemento di disgregazione della personalità.

È così che l'ansia perde la sua funzione adattiva tesa a favorire il rapporto con l'ambiente, provocando al contrario disadattamento e perdita di contatto con l'ambiente stesso.
Questa evenienza può presentarsi per diversi motivi; in linea generale accade poiché vi è una valutazione errata delle percezioni che riceviamo da parte dei nostri processi cognitivi.
Quando ciò accade la persona tende a sviluppare varie tipologie di comportamento, in genere di tipo patologico, al fine di tenere sotto controllo le forti angosce che la attanagliano continuamente.
Un esempio è il comportamento di evitamento, attraverso il quale la persona evita volontariamente e ripetutamente il contatto con la fonte d'ansia (per esempio la vicinanza ai cani nel caso di soffre di fobia verso questi animali), alimentando in maniera sempre maggiore la paura verso di essa (rinforzando le paure irrazionali, le fantasie catastrofiche, il senso di inadeguatezza nell’affrontarle).

Nei casi più gravi può accadere che la persona perda la consapevolezza della fonte della propria ansia, rimuovendola a livello inconscio. Il meccanismo di difesa della rimozione agisce come una sorta di censura della mente, relegando i pensieri e i ricordi spiacevoli e minacciosi ad una parte inconscia della psiche. Questi elementi non vengono più ricordati, tuttavia restano presenti e continuano, di tanto in tanto, a generare angoscia. A questo punto l'ansia diventa generalizzata e non ha apparentemente una causa visibile.

Un altro fattore importante da tenere in considerazione è costituito dai vantaggi secondari del comportamento di evitamento. Infatti chi soffre di ansia può in un certo senso "approfittare" della sua situazione per ottenere aiuto dagli altri, magari anche in modo non del tutto consapevole; per esempio, tornando all'esempio del cinofobico (chi soffre di paura dei cani), egli potrebbe evitare di uscire di casa da solo per paura di essere aggredito da un cane e chiedere ad un familiare o ad un amico di accompagnarlo ogniqualvolta deve allontanarsi da casa. O addirittura chiedere ad un'altra persona di svolgere le attività al posto suo. Questo tipo di comportamento non fa altro che tenere la persona a distanza dalla sorgente delle proprie angosce, impedendole di affrontarle e risolverle costruttivamente (e di costruire quel senso di autoefficacia e autostima necessari).

Le funzioni adattive dell'ansia


L'ansia, la cui etimologia latina richiama concetti quali il sentirsi soffocare e il sentirsi stretti, è connotata da varie sensazioni per lo più spiacevoli fra cui il timore, la paura, l'apprensione, la preoccupazione, la sensazione che le cose possano sfuggire di mano, il bisogno di trovare una soluzione immediata e, nel caso di esposizione prolungata, la frustrazione e la disperazione.

Tuttavia l'ansia è un' emozione naturale e universale; è generata da un meccanismo fisiologico e psicologico di risposta allo stress il quale svolge la funzione di anticipare la percezione di un eventuale pericolo prima ancora che quest'ultimo sia chiaramente sopraggiunto, mettendo in moto specifiche risposte fisiologiche che spingono da un lato all'esplorazione per identificare il pericolo ed affrontarlo nella maniera più adeguata e, dall'altro, quando necessario alla sopravvivenza, all' evitamento e alla eventuale fuga.

- ANTICIPARE IL PERICOLO
- VALUTARE LA SITUAZIONE
- AGIRE NEL MODO PIU’ ADEGUATO

Questa caratteristica di interesse ed evitamento nei confronti di un possibile pericolo si ritrova soltanto negli uomini e negli animali superiori e favorisce la conoscenza del mondo circostante e un migliore adattamento ad esso.

Il sistema è molto complesso e prevede una reazione che è contemporaneamente fisiologica e psicologica.

L'ansia è insomma un'emozione fondamentale e del tutto spontanea, che ha la funzione di proteggerci dalle minacce esterne preparandoci all'azione e contemporaneamente motivandoci all'interazione con il mondo circostante.

L'ansia ha altre funzioni fondamentali oltre a quella sopraccitata: essa ci consente di impegnarci nei compiti che svolgiamo quotidianamente, in particolar modo in quelle attività che non svolgiamo con interesse ma che dobbiamo portare a termine. Studiare per un esame poco interessante, per esempio, diverrebbe pressoché impossibile se non vi fosse una spinta sottostante di ansia da prestazione. Anche svolgere il proprio lavoro quotidianamente con impegno non sarebbe sempre possibile senza la pressione dell'ansia. Allo stesso modo, anche un'azione apparentemente banale come quella di uscire di casa in tempo per prendere l'autobus o il treno fallirebbe miseramente se fosse esente da ansia.

Questi tipi di ansia sono costruttivi, ovvero risultano funzionali alla nostra sopravvivenza. Fungono da intermediario tra il mondo esterno e il nostro mondo psichico interno, rendendoci capaci di far fronte ai problemi della vita e di adoperarci per migliorare il nostro adattamento all'ambiente. Sono dunque fattori di crescita e sviluppo della personalità che forniscono stimoli e motivazione all'accrescimento.

Senza l'ansia molti nostri comportamenti non potrebbero prevedere la capacità d'adattamento per rispondere ad uno stimolo che compare, talvolta d'improvviso, a modificare i nostri equilibri, mentre altre volte lo conosciamo in anticipo e dobbiamo solo organizzarci.
Esiste quindi una condizione connaturata con l'individuo, fatta di attese, di preparazione, di sforzo, che fornisce una risposta a ciò che internamente o esternamente ci sollecita.

L'ansia nasce anche dai ricordi o dalle emozioni, dalla elaborazione di quello che ci è successo in passato o che potrà accaderci in futuro. E poi c'è quella forma di ansia del tutto sconosciuta e maldestra, che proviene dall'inconscio (Freud diceva dal conflitto tra un impulso ritenuto inaccettabile e il divieto della coscienza), che non sappiamo razionalizzare e che ci attanaglia perché sfugge ad ogni identificazione.

Paradossalmente questa condizione di tensione è quella che corrisponde all'equilibrio. Non potremmo vivere senza questa situazione squilibrata di equilibrio. Eppure il più delle volte non ce ne rendiamo conto: ci aspetteremmo che il benessere venga dall'assenza di stimoli, mentre questa condizione ideale corrisponde solo alla "non esistenza" . Il sonno stesso, ritenuto come una condizione di allontanamento dagli stimoli esterni, è invece un immenso crocevia di sollecitazioni inconsce e di elaborazioni necessarie per la vita della nostra esistenza.

Basi fisiologiche e psicologiche dell'ansia


E’ assolutamente certo che l’essere umano erediti geneticamente gli strumenti che permettono al cervello, durante la vita fetale, di sviluppare in modo perfetto i sistemi di difesa che costituiscono la base biologica dell’ansia.

Il sistema è molto complesso e prevede una reazione che è contemporaneamente e psicologica. Recentemente le neuroscienze hanno permesso di “vedere dentro” il cervello e sono stati identificate, anche se ancora in modo impreciso, aree cerebrali, circuiti nervosi e biochimici che sovrintendono a questa delicata funzione

Quando i sensi colgono un pericolo (un rumore improvviso, un’immagine paurosa, una sensazione sgradevole), le informazione prendono 2 vie attraverso il cervello:
a. la scorciatoia: il cervello attiva immediatamente il “dispositivo di emergenza, l’amigdala, la quale a sua volta allerta tutte le strutture cerebrali. Il risultato è la classica reazione di paura (sudorazione delle mani, tachicardia, aumento della pressione sanguigna, scarica di adrenalina). Tutto questo accade prima che la mente si renda conto di ciò che ha sentito.
b. la strada principale: Solo dopo che la reazione di paura è stata attivata, la mente cosciente entra in funzione. Le informazioni passano per il talamo e la corteccia, dove vengono elaborate e viene “decisa” e comandata la reazione del corpo.


Naturalmente questi sistemi di difesa non predispongono allo sviluppo dell’ansia patologica, ma esclusivamente alla salvaguardia dell’individuo dagli attacchi del mondo esterno che potrebbero mettere a repentaglio la nostra vita.

Nell’ansia patologica, specie per quanto riguarda il disturbo da attacchi di panico come anche il disturbo ossessivo compulsivo, non si esclude che si possa ereditare la cosiddetta “propensione al disturbo”, vale a dire imperfezioni nel corretto funzionamento di alcuni sistemi biologici (specie della serotonina).

Ma ciò non significa che si eredita il disturbo: il cervello è un sistema plastico fortemente adattabile, e si possono creare nel corso della vita situazioni educative, ambientali sociali o culturali che attivano, in chi è predisposto, i sintomi dei disturbi d’ansia.

Lo strutturarsi di un certo tipo di personalità (modo persistente di vedere sé stesso, gli altri, il mondo, modo di essere, pensare e agire) può quindi ritenersi un fattore strettamente legato alla modalità di reazione ansiosa di tipo abnorme.

Non esiste una causa unica per l’ansia. Ci può essere una predisposizione genetica familiare ad essere ansiosi, può essere influenzata dall’educazione ricevuta, dallo stress causato da un importante cambiamento nella propria vita (la perdita del lavoro, un trasferimento, un lutto, un incidente, la nascita di un figlio), dalla bassa autostima. Questi fattori interagiscono tra di loro in maniera e in misura diversa da persona a persona.
I fattori biologici e i fattori ambientali/ psicologici sono strettamente legati ed interdipendenti.


- Base biologica (sistemi fisiologici di base)
- Predisposizione biologica (alcuni parlano di imperfezioni nei sistemi biologici)
- Predisposizione psicologica (strutturazione della personalità: modi di pensare, sentire, agire)
- Situazione ambientale (eventi di vita)

I Disturbi di Personalità


Con il termine “personalità” si intende, in maniera breve e semplicistica, l'insieme delle caratteristiche peculiari con le quali un individuo pensa e vede se stesso e il mondo e ne costruisce e gestisce le interazioni.
Ogni persona ha particolari caratteristiche (tratti di personalità) e questi tratti, in una situazione di salute, si adattano flessibilmente alle diverse situazioni, si modellano sulla base degli eventi, delle relazioni, delle circostanze del qui ed ora.

La persona con disturbi di personalità invece, manifesta alcuni tratti in modo accentuato e rigido, anche quando le circostanze richiederebbero atteggiamenti diversi e più adeguati.
Per esempio, una persona con disturbo istrionico di personalità ha costantemente bisogno di attenzione ed assume un atteggiamento seduttivo e provocante anche in momenti inopportuni, senza rendersi conto che in tali casi questo comportamento potrebbe essere imbarazzante per chi gli sta accanto.

Coloro che presentano questi disturbi, non sono consapevoli di quanto sia rigido e inadeguato il loro modo di essere, e mentre gli altri possono etichettarli come "strani", "paranoici", "esaltati", a seconda del disturbo presente, essi si vedono perfettamente normali, perché considerano quello, il normale modo di agire.

Molte persone possono essere definite "particolari" per il loro carattere, a volte magari esuberante, eccentrico, puntiglioso o aggressivo, ma si parla di disturbo di personalità solo quando il modello è persistente e crea vere e proprie difficoltà alla persona stessa e a chi la circonda.

Per disturbo di personalità (DSM-IV), si intende un modello abituale di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo e si manifesta in due o più delle seguenti aree:
- Cognitività (modi di percepire e interpretare se stessi, gli altri, gli avvenimenti)
- Affettività (varietà, intensità e adeguatezza della risposta emotiva)
- Funzionamento interpersonale
- Controllo degli impulsi

Tale modello risulta pervasivo e inflessibile in una varietà di situazioni, comporta un disagio clinicamente significativo e una compromissione del funzionamento sociale, lavorativo e di altre aree importanti. Il modello è di lunga durata e di solito l’esordio può essere fatto risalire all’adolescenza o alla prima età adulta. Non risulta giustificato come manifestazione o conseguenza di un altro disturbo mentale, né risulta collegato agli effetti fisiologici di una sostanza o di una condizione medica generale.


Disturbi di personalità – Gruppo A: comportamento bizzarro/eccentrico

Disturbo paranoide di personalità: chi soffre di questo disturbo pensa che gli altri tramino alle sue spalle per ingannarlo. E' sospettoso e convinto che vi siano complotti contro di lui anche se non c'e' nessuna prova a riguardo. Il quadro è caratterizzato da sfiducia e sospettosità e le motivazioni degli altri vengono interpretate come malevole.

Disturbo schizoide di personalità: chi soffre di questo disturbo è una persona solitaria, cui sembra non importare la relazione con gli altri. Raramente prova piacere, ha poche espressioni ed appare senza emozioni. Il quadro è caratterizzato da distacco nelle relazioni sociali e da una gamma ristretta di espressività emotiva.

Disturbo schizotipico di personalità: chi soffre di questo disturbo è una persona eccentrica e sente di avere poteri extrasensoriali o di essere particolarmente intuitiva. Il quadro è caratterizzato da disagio acuto nelle relazioni strette, distorsioni cognitive e percettive, eccentricità nel comportamento.

Disturbi di personalità – Gruppo B: emotività drammatica/stravagante

Disturbo borderline di personalità: chi soffre di questo disturbo è molto impulsivo ed instabile sia nelle relazioni con gli altri, sia nell'immagine che ha di sé, sia negli affetti. Cambia spesso opinione ed obiettivi. Quadro caratterizzato da marcata instabilità ed impulsività.

Disturbo istrionico di personalità: chi soffre di questo disturbo è una persona seduttiva, teatrale, sempre alla ricerca di attenzioni. Spesso cerca di attrarre tramite l'aspetto fisico (o la malattia). Il quadro è caratterizzato da emotività eccessiva.

Disturbo narcisistico di personalità: chi soffre di questo disturbo si sente grandioso, perfetto, ricerca dagli altri lodi ed ammirazioni, come se gli fossero dovuti data la sua superiorità. Il quadro è caratterizzato da grandiosità, necessità di ammirazione, mancanza di empatia.

Disturbo antisociale di personalità: chi soffre di questo disturbo è una persona manipolativa, che viola i diritti degli altri senza provare sensi di colpa. E' spesso una persona irresponsabile e violenta.

Disturbi di personalità – Gruppo C: stato ansioso e timoroso

Disturbo evitante di personalità: chi soffre di questo disturbo si sente timido ed insicuro ed evita di avere rapporti sociali per timore delle critiche. Il quadro è caratterizzato da inibizione, sentimenti di inadeguatezza, ipersensibilità ai giudizi negativi.

Disturbo dipendente di personalità: chi soffre di questo disturbo ha grosse difficoltà a prendere decisioni ed iniziative e sente il forte bisogno di essere accudito, rassicurato, sostenuto. Il quadro è caratterizzato da un comportamento sottomesso legato ad un eccessivo bisogno di essere preso in cura.

Disturbo ossessivo compulsivo di personalità: chi soffre di questo disturbo è un perfezionista, preoccupato costantemente per l’ordine e la precisione. Il quadro è caratterizzato da una pervasiva esigenza di controllo.

Una definizione di psicoterapia


La psicoterapia è una branca specialistica della psicologia che si occupa della cura di disturbi psicopatologici di diversa gravità che vanno dal modesto disadattamento all'alienazione profonda e possono manifestarsi in sintomi nevrotici oppure psicotici tali da nuocere al benessere di una persona fino ad ostacolarne lo sviluppo causando fattiva disabilità; a tal fine si avvale di tecniche applicative della psicologia dalle quali prende specificazione: psicoterapia cognitivo-comportamentale, psicoterapia psicoanalitica, ecc.

Professionalmente la psicoterapia è una specializzazione sanitaria riservata a Medici e Psicologi iscritti ai rispettivi Ordini professionali e in Italia si consegue mediante un percorso formativo presso scuole di specializzazione universitarie ovvero in scuole di specializzazione private. Queste ultime legittimate da una Commissione di controllo del MUR - Ministero dell'Università e della Ricerca - ad erogare formazione specialistica.

Etimologicamente la parola psicoterapia, “cura dell'anima", riconduce alle terapie della psiche realizzate con strumenti psicologici quali la parola, l'ascolto, il pensiero, la relazione, nella finalità del cambiamento consapevole dei processi psicologici dai quali dipende il malessere o lo stile di vita inadeguato e connotati spesso da sintomi come ansia, depressione, fobie, etc.

I problemi oggetto di intervento dello psicoterapeuta vanno dal generico disagio esistenziale alle forme di disturbi più strutturati (dalle strutturazioni e sintomatologie nevrotiche a quelle psicotiche), fino alle più gravi forme di alienazione con interpretazione delirante della realtà, spesso con allucinazioni uditive, visive o tattili.
Possono essere affrontati fenomeni sintomatici quali l'ansia, la depressione, il disturbo maniacale, le fobie, le ossessioni, i disturbi del comportamento alimentare - anoressia e bulimia - e della sfera sessuale, il comportamento compulsivo, l'abuso di sostanze, etc. (i cosiddetti "disturbi di asse I del DSM"); così come i disturbi della personalità (disturbi di asse II del DSM"), o forme di disagio non psicopatologicamente strutturato e fenomeni complessi quali il mobbing, il conflitto coniugale ed altri. In generale lo psicoterapeuta si può interessare anche di riabilitazione di soggetti con disturbi psichiatrici e della riabilitazione di tossicodipendenti, sia all'interno di strutture sanitarie pubbliche (per esempio i Centri di Salute Mentale per i soggetti psichiatrici e i SERT nel caso delle tossicodipendenze) o all'interno di Comunità Terapeutiche che possono esser sia pubbliche che private.

Consulenza psicologica


Lo psicologo (Laureato in psicologia ed Iscritto all’Ordine degli Psicologi) in qualità di consulente non ha compiti riguardanti la prevenzione e la cura di una patologia, ma formula comunicazioni più o meno sintetiche su quanto, usando strumenti come test, colloqui, ecc., ha potuto professionalmente considerare in uno o più incontri con una persona, con un gruppo o dall'ambiente cui la consulenza è riferita.

Si distinguono allora la consulenza psicologica individuale, di gruppo e di contesto (lavoro, sicurezza, giudiziario, produttivo, commerciale, orientamento, ecc.), a seconda del soggetto cui il consulente rivolge la propria attenzione, da cui trae le informazioni e al quale fornisce la prestazione.

In base alle teorie generali e alla propria esperienza, dagli esiti di test e questionari, dalla considerazione dei fenomeni osservati, dall'ascolto di quelli riferiti e dalla conoscenza di quanto di utile connota il contesto osservato, lo psicologo ricava le informazioni necessarie per una descrizione dello stato dei fatti e delle eventuali alternative potenziali al fine di orientare la persona o l'ente committente verso scelte conformi ai propri desideri, bisogni e possibilità.

I giochi psicologici - Relazioni sempre con lo stesso finale

Avete mai avuto un'interazione sociale nella quale voi e l'altro, alla fine, vi siete sentiti entrambi a disagio?
Nella quale avete detto a voi stessi: "È successo di nuovo!", "Pensavo lui/lei fosse diverso … e invece!", "Come mai è successo di nuovo?". Una situazione nella quale vi siete sorpresi per come sono andate a finire le cose, rendendovi conto, al contempo, che quel finale vi era familiare?
Se vi è successo, è molto probabile che, in linguaggio A.T., steste effettuando un "gioco" psicologico.
Eric Berne, fondatore dell’analisi transazionale, è stato il primo a parlare di “giochi” e a suggerire come analizzarli.

I Giochi hanno alcune caratteristiche precise:
1. sono RIPETITIVI: ogni persona gioca il suo preferito più e più volte. Attori e contenuti possono cambiare ma lo schema di base è sempre lo stesso.
2. sono INCONSAPEVOLI: la persona li mette in scena senza rendersene conto e, anche in fase finale, quando si accorge del ripetersi effettivo dello schema, non è consapevole di aver contribuito essa stessa a costruirlo.
3. comportano uno scambio di TRANSAZIONI ULTERIORI tra i giocatori: c'è uno scambio che avviene a livello sociale manifesto e un altro scambio, (ulteriore appunto), che avviene a livello psicologico, indiretto. E’ proprio quest'ultimo che determina l'andamento della transazione.
4. comporta un momento di SORPRESA o CONFUSIONE in cui il giocatore ha la sensazione sia successo qualcosa d'inaspettato. Le persone sembrano aver cambiato ruolo.

I giochi non sono divertenti. Allora perché li effettuiamo? Gli autori A.T. hanno suggerito numerose ipotesi.
Tutti concordano su un punto: nell’effettuare un gioco, la persona, invece di utilizzare risorse e opzioni adulte nella gestione della relazione, attiva quelle strategie che nell’infanzia aveva trovato funzionali ad ottenere attenzioni (positive o negative che fossero). Gli Schiff suggeriscono inoltre che i giochi derivino da rapporti simbiotici irrisolti nei quali ciascun giocatore svaluta sia se stesso che l’altro. Ogni gioco è un tentativo di mantenere una simbiosi non sana o una rabbiosa reazione contro la simbiosi stessa.

Un es.

Jack incontra Jean. Si innamorano e decidono di vivere insieme. All'inizio tutto va benissimo. Con il passare dei mesi Jack inizia a fare soffrire Jaen: ignora i suoi bisogni, le inveisce contro, la picchia, si ubriaca, spende il denaro di lei. Jean, nonostante tutto, continua a scusarlo. Più lui si fa aggressivo, più lei si sente ferita, più lo scusa. Questo per tre anni. Poi, senza preavviso, Jean lascia Jack per un altro uomo. Jack trova un biglietto a casa, dove lei le dice che se n'è andata per sempre. Jack rimane stupito "com'è potuto succedere?". La rintraccia e la prega. Più lui la prega, più lei lo rifiuta duramente, più lui si sente male. Jack si sente depresso, abbandonato e si chiede "cos'ho che non va?" "mai più!". La cosa strana è che Jack ha già avuto due esperienze di rifiuto che hanno seguito lo stesso schema. Lo schema si ripete e lui torna a sentirsi sorpreso e rifiutato. Jean, dal canto suo, è già stata maltrattata da altri uomini. All'inizio lei ha accettato e poi, improvvisamente, ha rifiutato tutto, dicendosi per l'ennesima volta "gli uomini sono tutti uguali". Ciò nondimeno comincia rapporti con un altro uomo e la storia si ripete.

Un es.

Molly incontra Tom che ha l'aria affranta. Lui le dice: "Il mio padrone di casa mi ha buttato fuori, non so dove andare. Non so cosa fare". Molly preoccupata: "E' terribile, come posso aiutarti?". Tom sconsolato: "Non lo so" e rimane in attesa. Molly allora dice: "Non scoraggiarti, prova a guardare nel giornale, puoi affittare una stanza". Lui abbattuto: "Non ho abbastanza soldi". Lei: "Posso darti un aiuto per questo". Lui: "Carino da parte tua, ma non voglio la carità da parte di nessuno". Molly: "Beh, posso almeno prenotarti un letto all'ostello fino a quando non avrai risolto il problema?". Tom: "Grazie, ma non credo riuscirei a stare in mezzo a tutta quella gente!". Cade il silenzio. Molly non trova altre soluzioni. Tom tira un lungo sospiro, si alza e se ne va dicendo: "Grazie comunque per averci provato". Molly si chiede "Ma che diavolo è successo?". Si sente stupita, depressa, non all'altezza di aiutare gli altri. Tom si sente indignato e pensa: "Sapevo che non mi avrebbe aiutato!".


I.STEWART-V. JOINES "L'Analisi Transazionale. Guida alla psicologia dei rapporti umani" (pgg.295-327)

Il Triangolo Drammatico


Stephen Karpman ha elaborato questo strumento, il triangolo drammatico, per analizzare i giochi psicologici (= serie di transazioni ulteriori effettuate da due persone in modo inconsapevole e che conducono le stesse, in modo ripetitivo e reciproco, a vivere emozioni spiacevoli).
Egli afferma che ogniqualvolta noi effettuiamo un gioco psicologico entriamo in uno dei tre Ruoli:

Il SALVATORE: si prodiga nell’aiutare gli altri, spesso sostituendosi ad essi, quindi svalutandone le capacità di agire, pensare e gestirsi in modo autonomo (confermandone così il senso d’impotenza e d’inadeguatezza). Si attribuisce valore nella misura in cui è utile agli altri (evitando così di sentirsi Vittima). Ha bisogno di Vittime intorno a sé per continuare il Gioco.

Il PERSECUTORE: per evitare di sentirsi Vittima invita gli altri ad assumerne il ruolo. Lo realizza attaccandoli, criticandoli, sminuendoli, giudicandoli, condannandoli, svalutandoli.

La VITTIMA: si sente inferiore agli altri, svaluta la propria capacità di pensare e di agire. Va alla ricerca di un Persecutore o di un Salvatore che la assecondi nella sua posizione.

Ogni Ruolo comporta una svalutazione. Salvatore e Persecutore svalutano gli altri, la Vittima svaluta se stessa.
Sono tre Ruoli non autentici, non basati su una posizione adulta e su un esame realistico di se stessi, dell’altro e della realtà. Sono la proiezione sul qui ed ora di strategie infantili, anacronistiche e disfunzionali, di affrontare la vita.

Di solito la persona che effettua un gioco parte da uno dei tre Ruoli per poi spostarsi ad un altro. Questo spostamento di ruolo è palese nel momento della SORPRESA che caratterizza il Gioco, momento in cui i due partners cambiano posizione e rimangono entrambi stupiti di ciò che è successo (sebbene ne colgano il ripetersi).


Es.

Passaggio da Salvatore a Vittima: Il gioco di Molly "Perché non provi a... “.
Passaggio da Vittima a Persecutore: Il gioco di Tom " Sì... ma."

Molly incontra Tom che ha l'aria affranta. Lui le dice: "Il mio padrone di casa mi ha buttato fuori, non so dove andare. Non so proprio cosa fare". Molly preoccupata: "E' terribile, come posso aiutarti?". Tom sconsolato: "Non lo so" e rimane in attesa (Vittima). Molly allora dice: "Non scoraggiarti, prova a guardare nel giornale, puoi affittare una stanza" (Salvatore). Lui abbattuto: "Non ho abbastanza soldi". Lei: "Posso darti un aiuto per questo". Lui: "Carino da parte tua, ma non voglio la carità da nessuno". Molly: "Beh, posso almeno prenotarti un letto all'ostello fino a quando non avrai risolto il problema?". Tom infastidito: "Grazie, ma non credo riuscirei a stare in mezzo a tutta quella gente!". Cade il silenzio. Molly non trova altre soluzioni. Tom tira un lungo sospiro, si alza e se ne va dicendo freddamente: "Grazie comunque per averci provato" (Persecutore). Molly si chiede "Ma che diavolo è successo?". Si sente stupita, depressa, non all'altezza di aiutare gli altri (Vittima). Tom si sente indignato e pensa "incapace, sapevo che non mi avrebbe aiutato!".

I.STEWART-V. JOINES "L'Analisi Transazionale. Guida alla psicologia dei rapporti umani" (pg. 301)
S. WOLLAMS – M. BROWN “ Analisi Transazionale. Psicoterapia della persona e delle relazioni” (pg. 183)
E. BERNE “ A che gioco giochiamo?”

mercoledì 18 giugno 2008

Dipendenza da Internet


La comunicazione sociale oggi è facilitata da Internet, uno strumento che consente di oltrepassare le barriere del tempo e dello spazio. Il popolo dei “navigatori” è cresciuto enormemente e comprende ormai ogni età. Attraverso internet si gioca, ci si informa, si studia, si comunica, si vende, si compra, si lavora, ci si sperimenta in realtà virtuali. Ma tutta questa facilitazione non è rimasta scevra da cattivi usi e da abusi tanto che, negli ultimi anni (1995, Goldberg), ha cominciato a evidenziarsi una nuova forma di dipendenza nel campo della salute mentale, definita internet-dipendenza, Internet Addiction Disorder (I.A.D.).

Predisposizione
I soggetti a rischio hanno un'età compresa tra i 15 e i 40 anni, hanno una buona conoscenza dell'informatica, spesso sono isolati per ragioni lavorative (es. turni notturni di lavoro) o geografiche e solitamente presentano problemi psicologici, psichiatrici o familiari preesistenti alla Rete-dipendenza (tra questi problemi spiccano solitudine, insoddisfazione nel matrimonio, stress collegato al lavoro, depressione, problemi finanziari, insicurezza dovuta all'aspetto fisico, ansia, lotta per uscire da altre dipendenze, vita sociale limitata, etc...)

Sintomatologia
I sintomi più frequenti: ansia, insonnia, depressione, alterazione del ritmo sonno-veglia, distorsione del tempo, alterata percezione di se stessi, disturbi della personalità, riduzione della capacità di relazione e del contatto con la realtà, la sfera affettiva e il lavoro, perdita della capacità di limitare il tempo trascorso in Rete, a danno di ogni altro impegno.

Le 3 tappe nel percorso verso la forma più stabile della Dipendenza Patologica dalla Rete.

1. Fase iniziale: attenzione ossessiva per temi e strumenti inerenti l'uso della rete che genera comportamenti quali il controllo ripetuto della posta elettronica durante la stessa giornata, la ricerca frequente di programmi e strumenti di comunicazione particolari, prolungati periodi in chat.

2. Fase tossicofila: aumento del tempo trascorso on-line (spesso anche nelle ore lavorative e nelle ore notturne), con un crescente senso di malessere, di agitazione, di mancanza o di basso livello di attivazione quando si è scollegati (una condizione paragonabile all'astinenza).

3. Tossicomania: rete-dipendenza ad ampio raggio che compromette il funzionamento della persona nelle diverse aree di vita (lavorativa, sociale, affettiva, scolastica). Si distingue tra:


La Rete, in virtù delle sue enormi risorse (come per es. annullare i problemi della distanza o del tempo, offrire la possibilità di cambiare identità e personalità attraverso la sperimentazione di realtà virtuali, sospendere conseguenze e responsabilità delle proprie azioni) può indurre deleterie sensazioni di onnipotenza.
La caratteristica costante che fa da sfondo ad ogni Dipendenza da Internet è la capacità della rete di rispondere (o illudere di rispondere) a molti bisogni umani (comunicazione, appartenenza, conoscenza, sperimentazione di parti di sé altrimenti inaccettabili, sospensione delle responsabilità..), consentendo di sperimentare vissuti ed emozioni intense, sentendosi, al contempo, protetti.
Per i giovani in età di sviluppo e per alcuni soggetti predisposti, l'abuso della rete può creare confusione nella distinzione tra reale e virtuale, tra cosa fa parte di Sé reale e cosa è possibile sperimentare solo virtualmente. E l’abuso di forme di interazione e sperimentazione di Sé nel virtuale può accompagnarsi quindi a deficit o deformazioni del normale sviluppo delle abilità emotive e sociali.

La prevenzione rimane un utile strumento per tutti, con speciale attenzione ad alcune regole nell'utilizzo di Internet da parte di chi già è coinvolto in un disagio psicologico:
- limitare la quantità di tempo trascorso quotidianamente on line (non più di una o due ore), possibilmente non instaurando un'abitudine quotidiana che deve essere a tutti i costi rispettata
- integrare le attività on line con simili attività reali (es. acquisti, svaghi o relazioni sociali), poiché in tal modo non si trasforma la Rete nello strumento privilegiato di relax, di evasione e di contatto con se stessi
- la socializzazione reale non deve mai essere totalmente sostituita da quella virtuale
- nel caso in cui si avverta una necessità coatta e incontrollabile di collegarsi ad Internet, occorre chiedere un aiuto competente.


APPROFONDIMENTI BIBLIOGRAFICI
· AA.VV., 1998, La realtà del virtuale, Laterza, Bari.
· Cantelmi T. e al., 2000, La mente in Internet. Psicopatologia delle condotte on-line, Padova, Piccin.
· Oliviero Ferrarsi A., Malavasi G., 2001, La maschera dei desideri. In Psicologia contemporanea, 166, 30-37.
· Pravettoni G., Beria A., Guberti S., 2004, Internet: bisogno, paure , opportunità. In Psicologia contemporanea, 182, 58-64.
· Pravettoni G., 2002, Web psychology Guerini, Milano.

venerdì 30 maggio 2008

La mia idea di rapporto terapeutico

Se voi siete un cliente e io la vostra psicoterapeuta:

Metodo contrattuale

Ci assumiamo la responsabilità congiunta di raggiungere un obiettivo comune: il vostro benessere e la vostra autonomia. Entrambi partecipiamo al processo di cambiamento. Entrambi abbiamo dei compiti. Ecco perché stipuliamo un contratto: un’assunzione di responsabilità da parte di entrambi.
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Rapporto Paritario

Il termine “cliente” al posto di quello di “paziente” sottolinea il concetto di parità di valore e responsabilità. Non c'e' quindi una persona “impotente/inferiore” che in maniera del tutto passiva si affida ad un esperto “potente/superiore”. Ci sono due persone (terapeuta e cliente) di pari valore che fanno insieme un percorso di crescita.

Comunicazione aperta

Nel corso del nostro lavoro insieme disporrete di tutte le informazioni necessarie sui processi in atto. Userò un linguaggio non tecnico affinché voi possiate capire esattamente ciò che stiamo facendo. Vi insegnerò i concetti e gli strumenti dell’analisi transazionale in modo tale che anche voi possiate usarli.

Autenticità, considerazione positiva e incondizionata, empatia

In quanto terapeuta non mi nasconderò dietro una facciata professionale, esprimerò pensieri e sentimenti in maniera informale e schietta, fornendovi un modello di ciò che potrete diventare mettendovi in contatto con i vostri sentimenti, esprimendoli e assumendovene la responsabilità. La mia posizione verso di voi sarà fondata su un rispetto profondo per quello che siete, per il vostro impegno nello sforzo di crescere e migliorare, anche quando non approverò il vostro comportamento. Ascolterò voi, momento per momento, per comprendere i sentimenti dal vostro personale punto di vista fenomenologico, sia quello di cui siete ben consci, sia da prospettive di cui potreste essere ancora solo confusamente consapevoli.
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Consapevolezza

E' necessario concentrare l’attenzione non sugli eventi che esperite ma sul modo in cui li esperite (sui significati personali), perché il mondo fenomenologico di ogni persona è la determinante principale del suo comportamento ed è ciò che la rende unica. Come terapeuta avrò il compito di facilitare il vostro processo di crescita ripristinando l'autoconsapevolezza di pensieri, emozioni, bisogni, azioni, capacità e responsabilità.
Responsabilità

Se siete miei clienti sarete responsabili del vostro cambiamento, che potrete attuare non solo nel momento in cui sarete in terapia ma anche al di fuori di essa, nel caso si presentino problemi in futuro. In quanto terapeuta non devo cercare di manipolare gli eventi per conto vostro, piuttosto devo creare le condizioni in grado di facilitare un processo decisionale autonomo da parte vostra. Se agissi al posto vostro, il processo di crescita e di autorealizzazione ne risulterebbe solo ostacolato. Qualunque sollievo a breve termine legato ad un intervento esterno, interferirebbe con la crescita a lungo termine, in quanto manterrebbe in voi un ruolo e un'immagine svalutata, dipendente e passiva. La riappropriazione del senso di responsabilità, la consapevolezza delle vostre risorse, la sperimentazione della vostra progressiva efficacia saranno i mattoni con i quali potrete ricostruire autonomia e benessere.

La mia concezione dell'uomo

Ognuno è ok. La persona, in quanto tale, è degna di rispetto e accettazione
Ogni essere umano ha valore ed è degno di rispetto in quanto tale, nella sua essenza, indipendentemente da razza, religione, età, preferenze sessuali, risultati raggiunti nella vita etc. Si può non accettare un comportamento dell'altro ma è importante sempre rispettare l'essere umano.

Ognuno ha la capacità di pensare

Ad eccezione di chi ha avuto gravi danni cerebrali tutti abbiamo la capacità di pensare, di ragionare, di valutare ciò che viviamo, di fare delle scelte. Per quanto siano forti gli inviti e le pressioni degli altri, per quanto siano drammatiche le circostanze della vita, siamo sempre noi a scegliere la posizione che assumiamo rispetto ad esse. Abbiamo la capacità e il potere di affrontare la realtà, abbiamo la responsabilità della nostra esistenza.

Ognuno decide il proprio destino e queste decisioni, se portano risultati negativi, possono essere cambiate
Abbiamo cominciato sin da piccoli a prendere decisioni su ciò che era giusto o sbagliato, utile o non utile fare o essere, per essere amati e soddisfatti. Su queste decisioni (riguardanti noi stessi, gli altri, la vita..) abbiamo strutturato tutta la nostra esistenza. Molte di queste decisioni ci portano risultati negativi e dolorosi. Ogni decisione presa può essere cambiata con una nuova decisione che ci consenta di essere soddisfatti.
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Tendenza naturale all'autorealizzazione
Ogni persona possiede una forte spinta ad adattarsi, migliorarsi, realizzarsi. Ogni uomo tende per natura ad aprirsi alle esperienze, ad essere responsabile, creativo e costruttivo. Non sono le pulsioni istintuali a motivare l’uomo, ma piuttosto il bisogno di conoscere, di esprimersi, di relazioni gratificanti e di autorealizzazione.

Potenzialità
L'uomo è “poter essere”, potenzialità, flessibilità. L’idea di una natura dell'uomo, intesa come insieme statico e dato di caratteri costitutivi è una visione riduttiva e svalutante di esso. L'uomo non è qualcosa di “dato”, anzi, quello che lo distingue dalle cose (semplici presenze) è proprio il fatto di rapportarsi alle possibilità di essere. L'uomo oltrepassa incessantemente la realtà in direzione della possibilità, trascende se stesso in un progetto che tratteggia un mondo di significati possibili.

Complessità
L’uomo va compreso sempre nella complessità e nella totalità dell’esperienza soggetto/oggetto, mente/corpo, individuo/società, realtà oggettiva/trascendenza.

La mia concezione di malattia

Apprendimento di Strategie di Sopravvivenza

La malattia mentale nelle sue varie forme può essere vista come la distorsione dello sforzo che l’individuo compie per attuare le proprie potenzialità. Nel corso della nostra storia, in primis nell’infanzia, abbiamo elaborato una serie di strategie per sopravvivere nel mondo e ottenere la soddisfazione dei nostri bisogni più importanti. Quando queste strategie, invece di essere costantemente aggiornate e adeguate alle situazioni nuove e alle nostre crescenti capacità di adulti, vengono applicate in modo rigido e anacronistico ecco che la naturale tendenza all'autorealizzazione si inceppa.

Immagine di sé

Se non vi è corrispondenza tra gli attributi che il soggetto crede di possedere e quelli che effettivamente possiede, egli non si sviluppa in modo unitario, autonomo e soddisfacente (questo può verificarsi ad esempio nel caso in cui siano sorti problemi nel corso dello sviluppo della personalità, durante l'infanzia, momento in cui il bambino ha bisogno di essere considerato positivamente e accettato senza condizioni). La persona perde il contatto con sé, con i propri stati d'animo e con le proprie risorse, con le proprie esperienze attuali, vive un conflitto interiore per cui si blocca nella libertà di crescere positivamente o di effettuare scelte in maniera ottimale. Quando la persona si preoccupa eccessivamente delle valutazioni, delle esigenze e delle preferenze altrui, la sua esistenza non è più guidata dalla tendenza innata all'autorealizzazione.

Integrità Psico-Somatica

Non ha senso parlare di cure organiche contrapposte a quelle psichiche. Le malattie non sono né solo fisiche né solo psichiche. Tutte possono essere studiate e affrontate sia da un punto di vista biologico che da un punto di vista psicologico, con risultati diversi, che possono rivelarsi più o meno utili a seconda delle circostanze. Compito del terapeuta, medico o psicologo che sia, è quello di valutare la situazione dalle diverse prospettive, privilegiando l’una o l’altra a seconda dei diversi momenti e bisogni del paziente, integrandole invece quando è necessario. Nessun punto di vista comprende tutti i punti di vista, nessuno è superiore all’ altro. A volte può essere che un intervento, in quel dato momento, sia più indicato ed urgente dell’altro. Per affrontare i problemi umani è necessario l’apporto di varie discipline e lo sviluppo di trattamenti integrati che considerino non solo gli aspetti di natura biologica, ma anche quelli psicologici, relazionali, sociali, ambientali.


La mia idea di salute

Le persone sane sono mosse dall’innata spinta alla trasformazione e all’autorealizzazione. Sanno realizzare il loro potenziale di adulti aggiornando in modo flessibile e creativo le strategie usate per affrontare la vita. Evitano quindi di attivare o perseverare in modo coatto in strategie anacronistiche, autodistruttive e disfunzionali.

Sono autonome (non dipendenti), in grado di compiere scelte autonome, sono capaci di comportarsi in maniera adeguata ed efficace, sono consapevoli (di sé stesse, delle emozioni, dei pensieri, dei comportamenti, della situazione del momento, degli altri), sono spontanee (capaci di essere se stesse e di agire in modo diretto), non rispondono passivamente all'influenza dell'ambiente o alle proprie pulsioni interiori, sono capaci di comportamenti finalizzati e sanno darsi degli obiettivi, sono per loro natura amorevoli e rispettose verso gli altri e sanno stabilire rapporti di intimità (condivisione di emozioni autentiche).

La salute non può essere identificata con la semplice mancanza di sofferenza o con il semplice adattamento all'ambiente. Il processo di crescita e di autorealizzazione si nutre dell’impegno creativo della persona nella realizzazione del proprio progetto esistenziale, reclama un stile di vita dove non ci si riduce a semplice ingranaggio del sistema, ma si ci si muove a partire dalla ricerca del significato delle proprie esperienze e della propria esistenza.

Obiettivi a medio e lungo termine

La relazione terapeutica è una collaborazione finalizzata al raggiungimento di obiettivi comuni. L'obiettivo finale del percorso che costruisco con i miei clienti è il recupero del benessere e dell’autonomia. Questo si realizza attraverso alcuni passi intermedi:

▪ Esplorare il Significato profondo del malessere
▪ Individuare i Meccanismi Personali che lo mantengono
▪ Prendere Consapevolezza dei Bisogni Autentici
▪ Formulare Obiettivi sani e realistici
▪ Potenziare Strumenti e risorse personali
▪ Prendere nuove Decisioni
▪ Agire concretamente i Cambiamenti

lunedì 26 maggio 2008

Quando si parla di disturbo psicologico? Come affrontarlo?


QUANDO SI PUÒ PARLARE DI UN VERO E PROPRIO DISTURBO PSICOLOGICO?

Secondo le convenzioni internazionali il disagio causato dal problema, per essere definito disturbo psicologico, deve interferire in modo significativo con il funzionamento psicosociale della persona. In altre parole devono esserci difficoltà e compromissione nelle attività della vita quotidiana, nel lavoro o a scuola, oppure nei rapporti interpersonali e familiari. Il tutto accompagnato da sofferenza emotiva.
Naturalmente l’espressione individuale di un disturbo mentale può essere molto variabile per intensità, durata, sofferenza e grado di interferenza nel funzionamento psicosociale.

QUALI SONO I DISTURBI PSICOLOGICI?

Le principali categorie di disturbi psicologici sono:
Disturbi d'ansia (attacco di panico, fobie, disturbo ossessivo compulsivo...)
Disturbi del controllo degli impulsi (cleptomania, piromania, tricotillomania...)
Disturbi del sonno (insonnia, narcolessia, bruxismo, sonnambulismo...)
Disturbi alimentari (anoressia, bulimia)
Disturbi dell'umore (depressione, disturbo maniaco depressivo...)
Disturbi di personalita' (paranoide, borderline, narcisistico...)
Disturbi nell'infanzia (ritardo mentale, autismo, balbuzie, dislessia, enuresi, tic...)
Disturbi psicotici (schizofrenia, disturbo delirante)
Disturbi sessuali (impotenza, frigidita', eiaculazione precoce, perversioni...)
Disturbi somatoformi (ipocondria, somatizzazione, conversione ...)
Tossicodipendenza e droghe (stimolanti, oppiacei, cannabinoidi, alcol...)
Nuove dipendenze ( gioco d'azzardo, lo shopping e Internet).

QUALI CURE ESISTONO PER I DISTURBI “PSICOLOGICI”?

Le condizioni di sofferenza e malattia sono rivelatrici di un’integrità psicosomatica che richiede, per essere compresa, una visione multidisciplinare e complessa alla quale la scienza tradizionale, con le sue specializzazioni spesso settoriali e poco disposte alla collaborazione, non sembra essere ancora preparata. Ancora oggi infatti, alle soglie del XXI sec, persiste in molti studiosi l’idea di una separazione tra mente e corpo, tra salute fisica e salute mentale. Da questo ne deriva un approccio terapeutico solo settoriale e riduttivo (solo biologico o solo psicologico).

Non ha senso parlare di cure organiche contrapposte a quelle psichiche. Le malattie non sono né solo fisiche né solo psichiche. Tutte possono essere studiate e affrontate sia da un punto di vista biologico che da un punto di vista psicologico, con risultai diversi, che possono rivelarsi più o meno utili a seconda delle circostanze.
Compito del terapeuta, medico o psicologo che sia, è quello di valutare la situazione dalle diverse prospettive, privilegiando l’una o l’altra a seconda dei diversi momenti e bisogni del paziente. Nessun punto di vista comprende tutti i punti di vista, nessuno è superiore all’ altro. A volte può essere che un intervento, in quel dato momento, sia più indicato ed urgente dell’altro.

Per affrontare i problemi umani è necessario l’apporto di varie discipline e lo sviluppo di trattamenti integrati che considerino non solo gli aspetti di natura biologica, ma anche quelli psicologici, relazionali, sociali, ambientali.


Togliere un sintomo (per es. l’ansia) attraverso un farmaco (cura fisica), procura sicuramente sollievo al soggetto che ne soffre, ma se questa cura non è accompagnata da un percorso psicologico volto a comprendere le cause e le strategie che l’hanno creato ed alimentato (stile di vita personale, sociale, affettivo, lavorativo etc) e volto ad effettuare cambiamenti concreti, il sollievo ottenuto si rivelerà superficiale e spesso solo temporaneo e si assisterà al riproporsi ricorsivo dello stesso sintomo o di sintomi di altro genere. Viceversa, un lavoro di tipo psicologico, centrato sulla comprensione delle cause e sull’attivazione di cambiamenti concreti, spesso si rivela impossibile quando la persona è completamente debilitata dai sintomi fisici (per es. una ragazza anoressica che rischia la vita per la denutrizione) e necessita in primis di cure mediche

Le conoscenze raggiunte e le ricerche nel settore hanno ampiamente dimostrato l’efficacia terapeutica della collaborazione e della sinergia tra trattamenti psicologici e biologici. La separazione tra aspetti corporei e aspetti psicologici è un’idea erronea, che crea malessere e confusione nei pazienti stessi e che non garantisce loro un miglioramento completo e duraturo.

sabato 24 maggio 2008

Omofobia e conseguenze psicologiche

Omosessualità
Una persona si definisce omosessuale quando prova sentimenti di innamoramento, desiderio ed attrazione erotica nei confronti di persone dello stesso sesso. Nonostante esistano svariate teorie di tipo sia biologico che psicologico, allo stato attuale non esiste ancora uno studio scientifico o un’ipotesi ufficiale che possa, con assoluta certezza, spiegare il perché una persona diventi omosessuale e perché un'altra diventi eterosessuale.

L’omosessualità non è una malattia
L’unica cosa di cui si è certi è che l’omosessualità non sia una malattia, ma semplicemente una variante normale della sessualità umana. La parola omosessualità è stata tolta definitivamente dal Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, manuale dove psicologi e psichiatri trovano le linee guida con le quali stabilire la presenza o meno di un disturbo mentale, già dal 1973. Il documento dell’Associazione Psichiatrica Americana (APA), che sanciva questa modifica, dichiarava: "L'omosessualità in sé non implica un deterioramento nel giudizio, nell'adattamento, nel valore o nelle generali abilità sociali o motivazionali di un individuo". Già da molto tempo, dunque, è ingiustificato considerare l’omosessualità come una malattia. L’idea che siamo tutti eterosessuali, che è normale e sano scegliere un partner del sesso opposto (eterosessismo) e che in natura non esistano comportamenti omosessuali (“L’omosessualità
è contro natura”) è una falsa credenza. In realtà, anche nel mondo animale (criceti, porcellini d’India, topi, conigli, porcospini, capre, cavalli, maiali, leoni, pecore, scimmie, e scimpanzé) sono presenti comportamenti omosessuali.

Omofobia ed Eterosessismo
Ciò nonostante le persone comuni continuano ad avere questo pregiudizio e gli omosessuali continuano ad essere vittime di una società fortemente omofobica ed eterosessista. Il termine omofobia significa letteralmente “paura nei confronti di persone dello stesso sesso”, indica l’intolleranza e i sentimenti negativi che le persone hanno nei confronti degli omosessuali. Può manifestarsi in modi molto diversi: dalla battuta, alle offese verbali, fino a vere e proprie minacce o aggressioni fisiche. L'omofobia deriva dalla falsa credenza che siamo tutti eterosessuali e che è normale e sano scegliere un partner del sesso opposto.
La società è spesso diffidente nei confronti delle diversità, fino al punto di considerarle pericolose. Tale mancanza di fiducia ha riguardato, nel corso della storia, tutte le minoranze portatrici di valori nuovi o diversi perché ritenute minacce ai valori convenzionali. Il pregiudizio è rinforzato dall’ignoranza e dalla mancanza di contatti con la diversità (gli individui omofobici, per es, spesso non conoscono la realtà omosessuale e ne hanno un’idea astratta basata sul sentito dire). Infine, noi tutti tendiamo ad agire in modo coerente con ciò che viene ritenuto desiderabile e giusto in base alle convenzioni sociali dominanti. Questo meccanismo, ad esempio, è alla base del fatto che si è soliti deridere gli omosessuali perché è consuetudine farlo. Le credenze negative nei confronti dell’omosessualità sono così diffuse nella nostra società che gli omosessuali stessi tendono ad essere omofobici (omofobia interiorizzata).

L’omofobia interiorizzata
L’omofobia
interiorizzata indica l’insieme di sentimenti (rabbia, ansia, senso di colpa, ecc.) e atteggiamenti negativi verso caratteristiche omosessuali in se stessi e nelle altre persone. Il suo sviluppo è considerato, tuttavia, un processo normale nella vita degli omosessuali in quanto è un’inevitabile conseguenza del fatto che tutti i bambini sono esposti alle norme eterosessiste ed hanno sperimentato, nel corso della propria crescita, atteggiamenti ed emozioni negative verso la propria omosessualità.

Una crescita difficile
L’ostilità nei confronti dell’omosessualità (omofobia
) è così diffusa nella nostra società che la maggior parte dei giovani omosessuali ha avuto per genitori persone omofobiche e, nel corso della propria infanzia e adolescenza, ha frequentato insegnanti, compagni di scuola, amici di famiglia, etc., omofobici. Durante il periodo di esplorazione della propria identità, quindi, è già consapevole della mancanza di approvazione del comportamento omosessuale da parte della società e ha già appreso, dal contesto culturale, che provare sensazioni omoerotiche è meritevole di vergogna. E’ spesso inevitabile che durante l’adolescenza gli omosessuali si percepiscano come diversi e inadeguati e che molti di loro scelgano il ritiro sociale e l’isolamento. In un primo momento l’adolescente non riesce a spiegare a se stesso la propria diversità, è solo con il trascorrere del tempo che diventa consapevole di provare attrazione e sentimenti di amore nei confronti di persone dello stesso sesso. Tale consapevolezza, dal momento che vive in un contesto omofobico, può compromettere in modo serio la conduzione della vita sociale: alcuni preferiscono isolarsi e vivere la propria omosessualità nella segretezza, altri si nascondono dietro uno stile di vita convenzionale, aumentando il divario tra “identità pubblica” e “identità privata-omosessuale”. Durante l’adolescenza, tutti gli omosessuali, o quasi, temono che gli altri vengano a conoscenza del proprio orientamento sessuale e sviluppano, per questo, una maggiore attenzione nei confronti del contesto sociale di appartenenza, diventano più sensibili alle offese dei loro coetanei. Lo sviluppo di una rete di amicizie avviene molto lentamente, soprattutto a causa della paura di essere rifiutati. La paura del rifiuto fa sì che spesso molti giovani omosessuali diventino dipendenti da una piccola rete di persone ai quali hanno rivelato il loro orientamento sessuale. Così, durante l’adolescenza, si trovano a parlare di sé e dei propri problemi con poche persone e, nello stesso tempo, a nascondere la propria sessualità a tutti gli altri (inclusi genitori e fratelli). Tale situazione intensifica la percezione della loro diversità. Infine, la difficoltà di parlare con gli altri di sé favorisce nei giovani l’interiorizzazione acritica degli assunti omofobici ed eterosessisti della società, che sono causa dell’isolamento stesso.

Disturbi psicologici nell’omosessuale
Il documento dell’Associazione Psichiatrica Americana (APA) dichiara "L'omosessualità in sé non implica un deterioramento nel giudizio, nell'adattamento, nel valore o nelle generali abilità sociali o motivazionali di un individuo".
Dalle ricerche scientifiche sull’argomento risulta che gli omosessuali presentano un’alta prevalenza di disturbi psichiatrici, tra cui depressione, attacchi di panico
, ansia generalizzata, tentativi di suicidio. Secondo alcuni studiosi lo stigma, il pregiudizio e la discriminazione creano un ambiente sociale così stressante da favorire lo sviluppo dei problemi psicologici. In modo più specifico, il processo di stress dipenderebbe da diversi fattori collegati tra loro: gli eventi dove si è vittima del pregiudizio (discriminazione e violenze), l’aspettativa del rifiuto da parte degli altri, il nascondersi, le strategie di fronteggiamento, la mancanza di supporto sociale e, infine, l’omofobia interiorizzata. Questa ipotesi attualmente sembra essere la teoria più appropriata per spiegare l'alta prevalenza di disturbi psichiatrici negli omosessuali.
E’ il pregiudizio e la discriminazione che ne compromette enormemente lo sviluppo individuale ed il comportamento. E’ a causa del rifiuto che la persona omosessuale, fin dall’adolescenza, sperimenta sensazioni di diversità
e di sofferenza emotiva che la spingono verso l’isolamento sociale e che le impediscono di venire allo scoperto (coming out) e di esprimersi e crescere come tutti gli altri.
Nel brano che segue, Thomas Couser (1996) descrive cosa significa essere vittima di discriminazione e violenza verbale e spiega cosa ha provato quando ha visto la sua macchina ricoperta di scritte offensive riguardanti la propria omosessualità: “La possibilità che potessi essere osservato mi rendeva paranoico. È questo ciò che significa essere omosessuale… essere costantemente infastidito da gente completamente estranea. Nel lasso di questi brevi momenti, cominciai a pensare che ci vuole una buona dose di coraggio per essere apertamente gay… come mi sentivo vulnerabile! Per alcuni giorni provai paura e shock, paura che l'incidente si potesse ripetere o che la violenza potesse aumentare. Mi sentivo violato e mi faceva rabbia la mia incapacità di reagire. Mi sentivo come fossi stato etichettato per sempre…gli stereotipi del genere e l'omofobia sminuiscono e rendono inumani tutti noi” (T. Couser, 1996, p.56).